In nome del Beato
Domenico Spadafora
Montecerignone e
Randazzo si incontrano
Due paesi: l’uno, Montecerignone, una piccola comunità di 700 anime, su
nelle Marche, nella terra di Raffaello, Rossini e Leopardi, proprio nel cuore
dl Montefeltro, a un tiro di sasso dalla spiaggia di Rimini e dalla rocca di
San Marino, dominato dalla mole del monte Carpegna, di recente eletto a sede di
villeggiatura da Umberto Eco; l’altro, Randazzo, cittadina di oltre 11.000
abitanti, giù nella Sicilia di Verga, di Antonello e di Bellini, alle pendici
dell’Etna, tra lave desolate e litorali senza fine… cosa potrebbero mai avere
in comune? Difficile immaginare qualcosa di più inconciliabile, tra i luoghi
della fastosa corte dei Montefeltro, duchi di Urbino, grandi mecenati del Rinascimento,
e la cittadina dalle nere torri laviche meta di principi normanni, svevi ed
aragonesi. Eppure le due città in questi
ultimi tempi sono venute a contatto, hanno intensificato i loro rapporti, in
virtù di ciò che le unisce: il beato Domenico, un frate domenicano umile per scelta di vita, ma non certo per
natali o per dottrina, che proprio tra queste due città aprì e concluse la sua parabola terrena (v.
Gazzettino n.38 / 2002). Ma se a Randazzo, se si eccettua la memoria storica,
si è annebbiato il culto del beato Domenico, mentre sparivano i luoghi che furono
testimoni della nascita e dell’infanzia, così non è stato per Montecerignone, dove nel santuario di S.
Maria in Reclauso se ne venera l’urna, si è costituito un gruppo di preghiera,
e il 12 settembre si svolge una festa religiosa.
Domenico Spadafora,
secondogenito di Giovanni, barone di Maletto e signore di Casale, Castello e
Tonnara, nacque a Randazzo, nel 1450, da una illustre ed antica famiglia, che
diede al Regno di Sicilia letterati, senatori, vescovi, giureconsulti, ebbe
titoli e feudi per ogni dove. Provenienti da Costantinopoli, gli Spadafora si
stanziarono a Palermo, Messina, ma pure Randazzo, dove ebbero una cappella
nella chiesa di S. Francesco, due imponenti palazzi, e si resero benemeriti:nel
1282, dopo il Vespro, Pietro e Damiano Spadafora furono tra i 5 senatori che ressero
la città in nome di Pietro I d’Aragona; a Ruggero si deve, nel 1470, la
fondazione dell’ospedale dei Poveri, mentre il barone Gian Michele, figlio del
fratello primogenito Giovannello, fu il committente della splendida statua di
S. Nicola, eseguita nel 1523 da Antonello Gagini per la chiesa omonima.
Dopo aver frequentato nella città natale i Frati Predicatori, il giovane Domenico
fu inviato a Palermo, nel convento di S. Zita, per farvi il Noviziato e la
Professione. Nel 1477 i superiori lo
mandarono a compiere gli studi a Perugia, e da lì a Padova, dove conseguì nel 1479, il grado di Baccelliere in Sacra Teologia. Nel 1487,
a Venezia, durante il Capitolo generale dei Domenicani, pronunziò una disputa che riscosse grandi e unanimi
consensi, da farlo eleggere tra i 12 nuovi Maestri in Sacra Teologia. Dopo un periodo trascorso presso il Maestro
generale dell’Ordine, in qualità di socio, Domenico veniva quindi inviato nel
Montefeltro, con l’incarico di fondarvi una comunità riformata. Infatti, gli
abitanti di Monte Cerignone veneravano una cappella della Madonna, e volevano
innalzarle una chiesa, con dei religiosi che vi officiassero e si dedicassero
alla cura delle anime. Lavorando alacremente, con un compagno solo, completò la
chiesa di S. Maria delle Grazie e il convento, che avrebbe ospitato la comunità
dei frati. Lassù Domenico trascorse 30 anni, dedicandosi alla carità e alla
direzione spirituale delle anime, amato e riverito da tutti, tenuto già in
considerazione di Santo, fino al 21
dicembre 1521, quando rendeva l’anima a Dio.
I suoi resti mortali, deposti nel presbiterio della chiesa, venerati dai
confratelli e dalla gente del posto, più volte traslati, furono sempre trovati
intatti, fino al 1652, quando il
convento di S. Maria delle Grazie fu chiuso, e la chiesa passò alla
giurisdizione della Parrocchia di S. Maria in Reclauso, dove l’urna con il
corpo del beato Spadafora riposa tuttora, oggetto di un culto che si è
tramandato inalterato, corroborato anche da numerose grazie e miracoli. Nel 4°
centenario dalla sua morte, il 14 gennaio 1921, sotto il pontificato di
Benedetto XV, il Servo di Dio Domenico Spadafora veniva elevato agli onori
degli altari con il titolo di Beato.
Questo fino a quando il Rettore di S. Maria in Recluso, don Cristoforo
Bialowas, giovane e dinamico sacerdote polacco, giunto “da un paese lontano”,
instancabile e determinato come un suo più illustre e famoso conterraneo, non
ha cominciato a raccogliere ed esaminare carte, a seguire tracce, a recarsi di
persona sui luoghi, ad incontrare gente, proponendosi di riprendere il percorso
verso la santificazione, proprio da lì dove si era interrotto. Intanto nei
giorni scorsi è stata la volta del sindaco di Montecerignone, il dott. Michele
Maiani, per recarsi in visita a Randazzo, e per incontrarvi il sindaco prof.
Salvatore Agati, assieme ad altri componenti dell’Amministrazione e del
Consiglio comunale, nel corso di una breve e cordiale cerimonia svoltasi
nell’aula consiliare, cerimonia che ha dato il “la” ad una serie di iniziative,
di altri incontri e visite reciproci. Quasi in contemporaneità, infatti, i due
comuni hanno deliberato di legarsi con un atto di gemellaggio.
Pertanto le due città di Randazzo e di Montecerignone, diverse per storia, clima, paesaggio, si
vedono oggi accomunate dalla figura di un grande e meritevole concittadino, l’una
per avergli dato i natali, l’altra dove il Beato visse ed operò per ben 30
anni, fino alla fine dei suoi giorni, per il privilegio di custodirne le
spoglie, e dalla volontà comune di poterne, un giorno si spera non lontano, celebrare
assieme la santificazione. Maristella Dilettoso
(Il Gazzettino di Giarre, n.16 / 2004)
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